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La riabilitazione - Aspetti clinici e psicologici

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Un bambino e una famiglia  da incontrare: riflessioni sull’approccio alla famiglia con deficit visivo in età precoce.


 
“… Quando si aspetta un bambino è come se si dovesse progettare una favolosa  vacanza…in Italia. Dopo mesi di fremente attesa il giorno infine arriva; l’aereo  decolla … panico… terrore … angoscia … incertezza … … siamo stati dirottati.” 


La nascita di un figlio con  grave deficit visivo e/o disabilità multipla, per i genitori e per tutta la  famiglia viene sentita e
vissuta in modo traumatico . E’ un evento improvviso,  inaspettato, che minaccia  e attacca la propria immagine individuale, di coppia e  genitoriale.
E’ un dolore sordo e violento; il bambino che i genitori hanno tra le braccia è uno sconosciuto che non appartiene ai loro sogni, sentono di aver perso bruscamente l’inizio della loro storia.
Questa esperienza può essere accompagnata dal susseguirsi di differenti  emozioni: dolore, senso di colpa, ansia, paura, rabbia.

“…Questo non può essere vero, c’è un errore…dove è il mio bambino?”

La sensazione più diffusa è quella del dolore: un sentimento di profonda tristezza  simile alla perdita.
Ci si chiede se il deficit visivo del proprio figlio possa essere dovuto ad un difetto genetico o a comportamenti avuti durante la 
gravidanza.
 “Ho tentato di nascosto di  capire cosa volesse dire non vedere…sono stato fermo al buio ho chiuso gli occhi  ho provato a camminare…”.
Vi è la preoccupazione per il  futuro del bambino, per la sua incolumità fisica, legata alla discrepanza tra il  bambino “ideale” che hanno costruito come oggetto d’amore durante l’attesa e il  bambino “imperfetto” che la realtà presenta loro.

 “…Non mi rassegnerò mai a non  incontrare lo sguardo del mio bambino…vorrei che le cose potessero  cambiare”.

La coppia si trova a vivere “l’incertezza” e la “speranza”, a gestire la complessità, ridefinendo confini e ruoli e a costruire nuovi 
significati. Questo  momento può collocarsi, a seconda del tipo di disturbo visivo, sia nei primi  giorni o mesi di vita del bambino sia più avanti negli anni della infanzia e  dell’adolescenza. 
La  famiglia di fronte ad un figlio ipovedente si adatta in continuazione in modo del tutto individuale con criteri e modalità
proprie, attiva risorse, costruisce  nuovi significati.
La  persona che affronta l’esperienza di ipovisione, quindi, chiede di poter  incontrare il “nuovo” attraverso un percorso di
accompagnamento e modulazione.  Gli operatori che vengono in contatto con i soggetti ipovedenti sono quindi  chiamati, a volte con fatica, ad attivare strategie e tecniche per poter  ricreare “un’area di fiducia” nell’incontrare la realtà.


A  fronte di tali evidenze da più di un anno è attiva una collaborazione tra l’U.O.  di Oculistica – Ambulatorio di Ipovisione – e
l’U.S.S.D. di Psicologia Clinica,  che prevede l’offerta di percorsi di  consultazioni psicologiche a persone adulte  che in età evolutiva e/o alle loro  famiglie. L’attività è pensata, coordinata e  gestita attraverso un lavoro di équipe (oculista, psicologo, ortottista,  infermiere) in cui sia possibile creare un’area di scambio e confronto in modo  da scegliere e condividere interventi comuni: le consultazioni vengono infatti  offerte sia su indicazione  dell’équipe, sia ai soggetti e alle loro famiglie che spotaneamente chiedono un aiuto psicologico.


L’obiettivo è quello di accompagnare i pazienti ipovedenti e le loro  famiglie attraverso il difficile percorso che è loro chiesto, offrendo uno  spazio per tradurre in parole i loro sentimenti, raccontare la propria storia,  salutare ciò che hanno perduto, accorgersi di ciò che ancora hanno e possono  fare; si cerca, in altre parole, di ripensare insieme a ciò che è successo e/o  sta succedendo e di tessere così legami, di senso e di  relazione. 


“… In realtà sono cambiato io:  mi muovo parlando, voglio che il mio bambino sappia dove sono e che cosa sto  facendo…”.

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